Politica
Sicilia zona arancione, Annalisa Tardino: “La caccia è permessa solo sulla carta?”
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Scritto da
Angelo Augusto
“Occorre fare subito chiarezza, e indicare se la caccia in Sicilia, e nelle altre regioni classificate come ‘zone arancioni’, è permessa solo sulla carta e non nella realtà”.
A chiederlo è Annalisa Tardino, eurodeputata licatese della Lega, componente dell’Intergruppo “Biodiversità, Caccia e Ruralità” del Parlamento europeo.
“Il divieto di spostamento dal proprio comune di residenza ad un altro, previsto dall’ultimo Dpcm, non dovrebbe applicarsi ai cacciatori siciliani, che possono validamente motivare lo spostamento – scrive Tardino – per svolgere l’attività venatoria negli ambiti territoriali di caccia (ATC) indicati nel tesserino, ma lo è nei fatti, a causa di una interpretazione restrittiva, che ha condotto all’irrogazione di multe salate. Il governo chiarisca se è proibito o meno cacciare. E se è proibito, si attivino allora le procedure per rimborsare ai cacciatori – per intero o proporzionalmente al periodo non svolto – tasse e costi per il tesserino venatorio e l’ammissione agli ambiti territoriali di caccia”.
“La caccia in Sicilia – dichiara ancora Annalisa Tardino – non è da considerarsi tra le attività sospese dal Dpcm, e invito anche l’assessore Bandiera a fare chiarezza sul punto. Da questo punto di vista, supporto le richieste e le argomentazioni delle associazioni di categoria, che rappresentano gli interessi di centinaia di siciliani: è una pratica che viene svolta esclusivamente all’aria aperta, senza trasgredire le regole anti-contagio e senza creare assembramenti, quindi in totale sicurezza. Inoltre, è un’attività utile all’agricoltura e che fa dei cacciatori delle vere e proprie sentinelle del nostro patrimonio naturalistico. Non si capisce, quindi, perché non possa essere permessa al di fuori del comune di residenza, in caso di mancanza di zone idonee e, a maggior ragione, nelle regioni “arancioni”. Il governo e le prefetture dovrebbero optare per una interpretazione di buonsenso, e considerare la pratica venatoria tra i casi di cui all’art. 1 del Dpcm per i quali, viste ‘le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto’, non è obbligatorio indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie. Dovrebbe essere, quindi, consentita senza le restrizioni attualmente vigenti, che stanno anche danneggiando economicamente i settori produttivi coinvolti”.