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Sant’Angelo e il miracolo del latte: nel ‘600 una cinquantenne allattò una neonata, salvandola

Il Fondo Librario Antico di Licata racconta, questa sera, un’altra bellissima storia. Una storia di quattro secoli fa, risale infatti al 1625, e che ha per protagonista Sant’Angelo, patrono di Licata. Quell’anno al Santo vennero attribuiti due miracoli: l’aver salvato la città dalla peste e l’aver salvato da morte sicura una bambina di quattro mesi che, rimasta orfana di madre, venne allattata da una donna non più giovane.

Ecco cosa scrive il Fondo Librario Antico, che è diretto da Angelo Mazzerbo.

“Il documento in questione – si legge nel post – si presenta in ottimo stato di conservazione, con una grafia chiara e facilmente comprensibile. Esso, usando un gioco di parole, è un “documento nel documento”. Infatti, è un’attestazione scritta sotto giuramento e davanti a testimoni il nove Agosto del 1802 dal parroco della Chiesa Madre di Licata, Pietro Mendolia, su richiesta del Marchese Girolamo Frangipani. Il parroco dichiara – aggiunge il Fondo – di aver trovato nell’archivio della parrocchia della Chiesa Madre uno scritto dell’Arciprete Don Carlo Giliberto che a sua volta dichiara che nel 1625, mentre imperversava la peste nella Sicilia Occidentale e a Licata, fu testimone di un miracolo operato dal patrono di Licata Sant’Angelo Martire Carmelitano. Il miracolo ha come protagonista Maruzza, bimba di quattro mesi di Licata che rimasta orfana e non avendo più sostentamento venne allattata da una donna non più giovanissima, Agata La Pernina, dopo che quest’ultima si rivolse al Santo con ferventi preghiere. Questo miracolo è riportato da molta letteratura (sia a stampa che manoscritta) riguardante il Santo Patrono della città di Licata, ma con varianti diverse da quella che vi stiamo proponendo. Tutte le notizie contenute nel documento che fra poco leggerete in versione integrale, trovano conferma in altri scritti coevi che abbiamo rinvenuto in questi mesi, tra cui un inedito carteggio della peste del 1625 che vi proporremo più avanti”.

Ed ecco la trascrizione integrale del documento:

“Io sottoscritto Pietro Mendolia Ciantro (Il titolo Ciantro o Cantore indica l’ecclesiastico posto a capo del capitolo di canonici incaricati di celebrare le funzioni liturgiche in una chiesa cattedrale o collegiata) Parroco di questa Maggiore Collegiata Chiesa (Chiesa Madre; Chiesa Collegiata: chiesa che ha un capitolo collegiale) della Dilettissima e Fedelissima Città di Licata, faccio piena, ed indubitata fede a tutti e Singoli Officiali Maggiori e Minori, Ecclesiastici, e Secolari di questo fedelissimo Regno di Sicilia; qualmente, avendo osservato i libri della Parrocchia del Ponte (attuale Piazza Attilio Regolo) nei quali di anno in anno si ritrovano notati li battesimi, Sponsalizi (Matrimoni) e Difonti (defunti)della suddetta Parrocchia, ho ritrovato nel frontispicio (frontespizio) del libro dell’anno 8a Indizione 1624 e 1625 un notamento del tenor, che siegue(segue):

“Nell’anno presente ottava Indizione (L’indizione indica la numerazione dell’anno all’interno di un ciclo quindicinale (da 1 a 15) 1625, in questa città suchesse (successe) lo morbo contagioso della Peste; incomenzó (iniziò) alli 13 di Jugno (Giugno), e durò per tutto il mese di Luglo(Luglio), et si hebbe la pratica (pratica sanitaria) alli 28. Di Agusto (Agosto) giorno di S. Agostino, tutto per la intercessione della beata vergine, e del glorio=so nostro Protettore S. Angelo, nel qual tem=po vi fu capitan d’arme (Capitano D’armi di Sanità) della Peste il Barone di la Damisa Don Matteo Lucchese, Capitan D’arme a(e) Guerra Il capitano Don Antonio Pardo, e Ribadinie=ra(Rivadinera), Jurati(Giurati-Amministratori) Don Geronimo di Caro, Don Francesco Fagaroa(Figueroa), Nicoló Serravilla (Serrovira) et Francesco d’Averna del quondam (del defunto) Giuseppi, Vicario il Dottor Don Julio Binichi( Giulio Bennici), Cappellani Don Gioseppi Perconti, e Don Angelo Mamuxa (Mamusca), li quali scoprero(scoprirono) tal morbo, e foro(furono) per tal causa barriggia=ti(barricati/quarantena), et stettiro(rimasero) per quaranta giorni barrigati(barricati) per aver administrato li Sacramenti a detti appestati, nel qual tempo di detto morbo ni morsiro(morirono) vintitrè(ventitrè) et appestati ni sanaro(guarirono) ventiotto, fra li quali ni restao una figliola di Diego Rovetto, il quale si morsi(morì) di detto morbo, per aver intrato nel lazzaretto vo=luntariamente, per avere la mogle(moglie) e la Soro(sorella), e Madre in detto luogo per gubernarli(assisterli), restando viva Maruzza figlia di Jacopo di Majo (Maio), ed avendo morta la mogle(moglie), lì restao(gli rimase) una figlola(figliola) di quattro mesi senz’havere cui chi dasse(desse) il latte, e miracolosamente uscì il latte ad Agata La Pernina madre di detto Diego Rovetto, essendo donna di anni chinquanta (cinquanta), et relitta (vedova) anni venti, la quale allatta la detta Creatura.

Io Don Carlo Giliberto Archiprete(Arciprete) feci in detto tempo l’officio mio, confessando a tutti detti infetti.= Don Carlo (Archiprete) qui Sottoscritto=

Onde in fede del Vero a petizione dell’Illustre Cavaliere Marchese Don Girolamo Frangipani, ho formata la presente (lettera) sottoscritta di mia propria mano e suggellata col solito Parrocchiale Sigillo, oggi in Licata li 9 Agosto 1802”.

(Foto Fondo Librario Antico FB) 

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