Storie
“Resistere” al Coronavirus: Pino Cuttaia: “Faccio il pane, per unire le persone in questa guerra”
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Scritto da
Angelo Augusto
Ed ecco la nostra terza storia di oggi dedicata a chi ha deciso di “resistere” al Coronavirus, e di essere da esempio per tutti gli altri, per dare loro la forza di andare avanti.
A raccontarcela è Pino Cuttaia, chef licatese titolare de “La Madia”, ristorante due Stelle Michelin. Cuttaia, ormai da anni ai vertici della cucina italiana, e che spesso racconta i suoi piatti in varie parti del mondo, nello scorso ottobre ha dato vita alla prima edizione di “Nnumari”, evento che ha richiamato a Licata chef, docenti universitari, economisti, giornalisti e studenti per avviare iniziative utili a salvare il Mediterraneo.
“La Madia”, come tutti gli altri ristoranti italiani, dovrà rimanere chiusa fino al 3 aprile, ma Pino Cuttaia non è rimasto fermo. Si è trasferito da “Uovo di Seppia”, la sua dispensa, e per mettersi “a disposizione delle persone”, ogni mattina fa il pane.
“La cultura di un popolo – scrive Pino Cuttaia su Facebook – nasce dalla necessità, anche quella alimentare. Penso che in questo momento il mio compito come cuoco sia di mettermi a disposizione delle persone, interpretando il mio essere chef come un servizio da offrire alla mia comunità”.
“Il cibo – aggiunge lo chef – è da sempre simbolo della vita e del sostentamento, dell’accudimento e del conforto. La sua preparazione è un gesto atavico che dalla notte dei tempi dalle madri si trasmette ai figli e che oggi è il cuoco a raccogliere come eredità particolare. Per questo da oggi vorrei che l’Uovo di Seppia diventasse il rifugio “accogliente in cui ritrovare questo senso, un posto vivo dal quale attingere forza e positività attraverso il cibo”.
“Se cucinare è un atto d’amore, se servire il prossimo per le sue necessità è un gesto nobile, allora io umilmente – scrive ancora lo chef – offro il mio sapere e la mia professionalità per il mio prossimo, nel luogo in cui mi viene spontaneo donare alle persone i frutti di quel gesto domestico che mi sta tanto a cuore. Vorrei essere per tutti coloro che verranno una specie di cuoco a servizio, di cuoco a casa, un amico da portare sulle proprie tavole, che cucina con te i piatti nati nel nostro laboratorio e che una mamma o un papà cucineranno poi assieme per i loro cari”.
“Anche se ho deciso di chiudere la Madia, ieri mattina – sono, ancora, le parole di Pino Cuttaia – mi sono svegliato e come ogni giorno ho preparato il pane. Ho fatto il pane, l’essenza della nostra alimentazione e l’ho portato alla mia famiglia, ai miei amici. L’ho fatto perché il pane è il simbolo del sostentamento e possibilità del nostro stare insieme, è famiglia, è sacralità. Nei racconti di mia nonna, nei suoi ricordi, il pane è sempre stato un privilegio. Avere legna, avere fuoco, avere grano durante la guerra era segno quasi di nobiltà, di benessere rispetto a chi non aveva di che sfamarsi. Mia nonna ha campato la famiglia preparando il pane. Ha nutrito i suoi figli con quella legna e quel fuoco, è diventata uomo per poter essere donna e madre, per poter accudire e sostentare: “io mi sono bruciata davanti al fuoco”, mi diceva spesso. E non ho mai trovato espressione più toccante per esprimere il valore dell’amore nel sacrificio lungo una vita”.
“Per questo ieri ho fatto il pane, per questo oggi lo farò. Perché è il simbolo della speranza – conclude lo chef licatese – e della cura nel nostro tempo, è il gesto sacrale per unire le persone nella nostra “guerra”. Quella in cui un virus ha preso il posto simbolico dei bombardamenti, quella per cui le regole di sicurezza che ci vedono bloccati in questa sospensione inusuale ci sta regalando un tempo nuovo e fortuito, uno spazio da vivificare, una occasione per ritrovare abitudini e affetti da vivere con altra consapevolezza, lontani dalla fretta quotidiana delle nostre normalità.
Io non posso entrare in Pronto Soccorso per rendermi utile. Posso però mettere le mie competenze al servizio delle persone, posso alleggerire il peso dei disagi rendendo conviviale il loro cibo, felice la loro tavola.
Come il gesto di un cuoco può rendere speciale una domenica, così da oggi come cuoco stellato voglio rendere speciale i giorni delle persone, mettendo a disposizione le mie mani. Mia nonna mi ha insegnato che il vero lusso non è avere, ma donare. E donare cibo è il gesto più materno che io conosca”.