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Alfredo Quignones

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Emergenza idrica, Alfredo Quignones: “Servono invasi nelle aree interne e dissalatori sulla costa”

Alfredo Quignones, ingegnere idraulico, esponente del PD, interviene sulla nota diffusa nei giorni scorsi da Giovanni Chianta, leader del gruppo “Coltivazione in serra, tunnel e campo aperto”, sull’emergenza idrica.

Ecco le parole di Quignones:

“Pur condividendo lo spirito e la proposta di Giovanni Chianta, sento però l’obbligo, da ingegnere idraulico, di precisare un particolare passaggio, peraltro già letto in diversi interventi.

Nello specifico, quando ci si riferisce ai cumuli annui di pioggia, ovvero al volume totale di acqua che cade sul territorio siciliano in un anno, stimato in media in 20 miliardi di metri cubi (ma pari a 15 miliardi nel 2023 a causa della forte siccità) e lo si confronta con i complessivi fabbisogni idrici (stimati in 3,5 miliardi di metri cubi) non dobbiamo pensare che questi interi 20 (ovvero 15 nel 2023) miliardi di metri cubi siano potenzialmente utilizzabili!

Infatti con dighe, prese e relativi invasi possiamo usufruire solo di quella parte delle piogge (in idrologia più prettamente definite “afflussi”) che poi scorrono in superficie (la parte definita “deflussi”) e possono quindi essere captate.

Il rapporto tra deflussi e afflussi (acqua che scorre sul terreno e acqua che arriva dal cielo) è definito “coefficiente di deflusso” e dipende essenzialmente dalla superficie su cui cade la pioggia: copertura del terreno (libero o cementificato), dal tipo di coltura presente, dalla natura del terreno, dalla sua pendenza.

Va da sé che in ambiente urbano, quindi intensamente cementificato, tale coefficiente si avvicina a 1: ovvero quasi il 100% della pioggia che cade scorre sulla superficie (in realtà è poco meno per la presenza di ville e giardini). Per tale motivo violenti nubifragi sui centri abitati trasformano facilmente le strade in fiumi e si creano allagamenti.

In ambiente non urbano tale coefficiente si riduce drasticamente con valori tra 0,3 e 0,5: ovvero circa il 40% della pioggia che cade poi scorre in superficie. Dei 15 miliardi di metri cubi caduti nel 2023 in Sicilia quindi solo 6 miliardi sono potenzialmente utilizzabili.

In questo computo dobbiamo evidentemente eliminare tutte le superfici urbane le cui acque vanno a essere scaricate perché non possono certo essere captate per usi civili.

Resta il fatto che sei miliardi di metri cubi di acqua potenzialmente utilizzabili sono quasi il doppio del fabbisogno siciliano.

Bisogna però fare una ulteriore considerazione relativamente alle aree in cui si concentrano le piogge: le aree di maggiore piovosità in Sicilia sono infatti quelle della costa settentrionale del messinese, coincidente con la vastissima area del parco dei Nebrodi in cui non è possibile realizzare opere di captazione. Altre aree, come ad esempio il bacino del Salso, forniscono deflussi con elevato grado di salinità quindi non utilizzabili.

Da quel volume teoricamente disponibile dobbiamo quindi sottrarre una ulteriore aliquota: quindi sì, è vero che arriva tanta acqua dal cielo, ma solo una limitata parte può essere utilizzata.

Tutte queste considerazioni erano alla base di un vasto piano di utilizzo delle risorse idriche in Sicilia realizzato a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’90 che ha individuato le aree realmente idonee alla realizzazione di traverse di dighe e di invasi e che ha portato alla realizzazione di diverse opere pubbliche.

Altrettante però non sono mai state realizzate, restando solo ipotesi progettuali o anche ben specifici progetti, custoditi negli archivi regionali e nazionali.

Credo quindi possa risultare fuorviante pensare di avere una risorsa idrica teoricamente disponibile ben superiore a quella reale.

Ciò non toglie che ci sono ampissimi margini di utilizzo di risorse idriche superficiali in Sicilia come ben ricorda Chianta.

Ritengo però che tale sistema di utilizzo debba essere integrato con nuove risorse tecnologiche, ovvero quelle derivanti dalla dissalazione e ciò per svariati motivi: chiaramente per avere una risorsa sicura nel tempo, non dipendente cioè dal clima. Poi per avere una risorsa disponibile in tempi molto più veloci rispetto alla realizzazione di dighe, invasi e canalizzazioni. Infine per servire con sicurezza le aree più povere di risorsa idrica ovvero l’intera costa meridionale della Sicilia da Gela a Siculiana.

Naturalmente l’acqua da dissalazione andrebbe considerata come una “risorsa di prossimità” ovvero da utilizzare per usi civili (non irrigui) in aree limitrofe a quelle di produzione, evitando così un ulteriore aggravio di costi dovuti al sollevamento di tali acque verso le aree più interne. In tal modo l’acqua da dissalazione potrebbe svincolare ingenti volumi idrici da dirottare verso le campagne, mentre una distribuzione al livello locale eviterebbe ulteriori perdite dovute a lunghi trasporti, come attualmente avviene.

Evidentemente l’unico modo per contenere i costi di produzione (che comunque rimangono elevati) è quello di fare ricorso a energie rinnovabili: sarebbe quindi auspicabile che un piano che preveda la realizzazione di un dissalatore venga affiancato a un piano di utilizzo di energie rinnovabili.

Per tale motivo ritengo improcrastinabile una pianificazione integrata a livello regionale che preveda la diversificazione della risorsa idrica tramite la realizzazione di invasi nelle aree interne (a maggiore piovosità) e di dissalatori nelle aree costiere”.

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